E' morto a Roma a 87 anni il questore in pensione Angelo Mangano, nativo di Giarre. Molti non sanno chi sia, ma i vecchi cronisti non lo hanno dimenticato perché divenne celebre nel '64 per avere catturato a Corleone la primula rossa della mafia, Luciano Liggio.
La storia di Mangano e Liggio sembra un fumettone, ma è rigorosamente autentica. Liggio resta il vero capostipite della mafia corleonese, nessuno è stato più abile e più crudele di lui, i suoi ex picciotti Totò Riina e Bernardo Provenzano al suo confronto sono dei dilettanti. Il procuratore della Repubblica di Marsala Cesare Terranova, poi eliminato da Cosa Nostra, teneva appesa nel suo ufficio la copertina del settimanale tedesco «Stern» con disegnata una grande piovra con la testa di Liggio.
Per catturare Lucianuzzu «Cocciu di focu» carabinieri e polizia, in concorrenza, iniziarono una caccia spietata, ma lui sembrava imprendibile, uccideva e spariva nelle campagne. Era nato in una casetta davanti alla caserma dei carabinieri dove allora prestava servizio il tenentino Carlo Alberto Dalla Chiesa. A vent'anni aveva ucciso il campiere del possidente Corrado Caruso per prenderne il posto ed era entrato nella cosca capeggiata dal medico cinquantottenne Michele Navarra, esponente locale della Dc. Liggio uccideva con un cinismo sbalorditivo e si esercitava al tiro sparando ai tronchi d'albero con una vecchia pistola residuato bellico. Una delle sue prime vittime fu il primario dell'ospedale dei Bianchi dottor Nicolosi per fare un favore a Navarra che grazie a questo ottenne il primariato.
Poi Navarra ricambiò il favore a Liggio dandogli il «permesso» di far fuori il sindacalista di Corleone Placido Rizzotto il quale «metteva strane idee in testa ai contadini». E poiché mentre gettava il corpo di Rizzotto nelle foibe della Rocca Busambra era stato visto da un pastorello quattordicenne, anche quest'ultimo venne soppresso nottetempo con una iniezione letale in ospedale dove era stato ricoverato perché colto da febbre alta per lo spavento. La favolistica mafiosa racconta che Liggio aveva ucciso il sindacalista non perché incitasse i contadini a occupare i latifondi, ma perché voleva godere i favori della sua fidanzata Leoluchina Sorisi. Quando il dottor Navarra capì di essere stato preso in giro dal suo picciotto che gli aveva mentito sul vero motivo della soppressione di Rizzotto mandò una squadra a ucciderlo, ci fu un conflitto a fuoco in campagna, Liggio, Riina e Provenzano si difesero, Lucianuzzu venne ferito e fuggì.
A mettere pace intervenne la mafia di Altofonte comandata dai Di Carlo, i quali chiesero a Navarra di perdonare il «peccato di gioventù» di Liggio. Navarra acconsentì e mal gliene incolse perché Lucianuzzu lo «astutò» per primo con sessanta proiettili di mitra mentre tornava in auto da Palermo assieme al giovane medico Giovanni Russo. Poi fece strage dei navarriani, una dozzina di vittime. In uno di questi scontri anche Bernardo Provenzano, fedele picciotto di Liggio, venne ferito gravemente: gli atti non notro possesso non dicono dove, ma dovrebbe portare ancora quella vecchia cicatrice.
Siamo nel '58, Liggio a 33 anni ha già all'attivo una ventina di omicidi, ma polizia e carabinieri non riescono a prenderlo, nonostante si sappia che ha bisogno di cure perché soffre del morbo di Pott, sfaldamento delle ossa, ed è costretto a camminare con il bastone.
La sorpresa della cattura fu clamorosa perché avvenne il 14 maggio del '64 in casa di Leoluchina Sorisi, considerata la fidanzata del sindacalista Placido Rizzotto sulla cui bara la ragazza piangendo aveva gridato: «A chi ti ha ucciso mangerò il cuore». E invece aveva ospitato Liggio in casa. La primula rossa si trovava in una stanza segreta occultata da una finta parete. Sotto il cuscino del letto teneva una pistola con il colpo in canna. A prenderlo fu il commissario Angelo Mangano che aveva avuto l'intuizione (o la soffiata) giusta, anche se il merito gli venne contestato dal colonnello dei carabinieri Ignazio Melillo, arrivato poco dopo con i suoi uomini. Storicamente, comunque, quella cattura è attribuita a Mangano.
Leoluchina Sorisi negherà tutto, dirà di non essere stata la fidanzata di Rizzotto e affermerà di avere ospitato in casa Liggio perché era stata minacciata e non perché ne fosse innamorata. («Fui costretta perché altrimenti avrebbero ucciso mio fratello e mio cugino, non potevo rifiutare perché conoscevo la ferocia di Liggio»). Ma la storia che riguarda Mangano e Liggio non finisce qui, ha una interessante coda romana. Il boss corleonese, clamorosamente assolto nel '69 dalle Assise di Bari per le stragi di Corleone (ai giurati era arrivata una lettera: «Le conseguenze di una condanna ricadranno sulle vostre famiglie»), si era dato subito alla fuga e Mangano, nel frattempo trasferito a Roma, tornò sulle sue tracce, aveva una partita ancora aperta con Lucianuzzu «Cocciu di focu», che nel frattempo aveva accumulato altri delitti efferati. Per catturarlo Mangano si rivolse a Frank Coppola, «Tre dita», il boss di Partinico che era stato estradato dagli Stati Uniti e si era sistemato a Pomezia, dove aveva comprato vasti terreni dando via ad una gigantesca speculazione edilizia (sia nel Lazio che a Trapani).
Mangano gli offrì dei soldi se lo avesse messo sulle piste di Liggio, ma il vecchio boss rifiutò e anzi, comprendendo il pericolo, organizzò una trappola. Il primo aprile del '73 a Roma in via Tor di Testa un gruppo di sicari ferì gravemente il questore Mangano. A sparargli erano stati i milanesi Sergio Bossi e Ugo Bossi (uno dei due venne poi catturato mentre prendeva il sole ai bordi della piscina di un grande albergo di Taormina), un americano rimasto sconosciuto e l'ex pugile Sergio Amicarelli, ras delle bische romane (assassinato successivamente).
Mangano passò vari mesi in ospedale a curarsi le ferite, lottò a lungo tra la vita e la morte, ma alla fine il suo vigoroso fisico ne uscì fuori, mentre il suo personale nemico Luciano Liggio, che s'era eclissato dopo la rocambolesca fuga dalla clinica «Villa Margherita» di Roma travestito da suora aveva preferito cambiare aria e allontanarsi il più possibile dalla Sicilia e da Roma.
Si era trasferito a Milano e diceva di essere rappresentante di vini siciliani. Abitava in un grande condominio assieme a una infermiera, Lucia Parenzan, che faceva passare per sua moglie e dalla quale ha avuto un figlio di cui si sono perse le tracce.
Il fatto singolare è che Lucianuzzu organizzava in Lombardia e in Piemonte sequestri di persona assieme a complici con i quali vent'anni prima a Corleone aveva rapito e ucciso il sindacalista Rizzotto.
Quando venne arrestato nel '74 i condomini del palazzo milanese dove abitava rimasero sorpresi: «Era una persona così gentile e discreta», dissero.Liggio riapparve in pubblico nel febbraio dell'86 all'apertura del maxiprocesso a Cosa Nostra impostato da Falcone e Borsellino. Ossequiato dai quasi 500 mafiosi dentro le gabbie dell'Ucciardone, sigaro in bocca, si capì subito che era lui il vero capo della mafia corleonese. Si era messo a dipingere e pareva anche guarito dal morbo di Pott perché in carcere era stato curato benissimo.
Ora Liggio e Mangano sono morti, ma le loro storie intrecciate fanno ancora parte della mitologia mafiosa. fonte da
http://www.cittanuove-corleone.it/E'%2...%20Mangano.htmlChe pezzo di merda..ad uccidere anche un innocente ragazzino di 14 anni capitato lì per caso...
che pezzo di merda..
spero solo che stia marcendo all inferno..